RECENSIONE IL BALLO DELLE PAZZE

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IL BALLO DELLE PAZZE * Victoria Mas * edizioni e/o * pagg 181 * trad, Alberto Bracci Testasecca

 




Fine Ottocento. Nel famoso ospedale psichiatrico della Salpêtrière, diretto dall'illustre dottor Charcot (uno dei maestri di Freud), prende piede uno strano esperimento: un ballo in maschera dove la Parigi-bene può "incontrare" e vedere le pazienti del manicomio al suono dei valzer e delle polka. Parigi, 1885. A fine Ottocento l'ospedale della Salpêtrière è né più né meno che un manicomio femminile. Certo, le internate non sono più tenute in catene come nel Seicento, vengono chiamate "isteriche" e curate con l'ipnosi dall'illustre dottor Charcot, ma sono comunque strettamente sorvegliate, tagliate fuori da ogni contatto con l'esterno e sottoposte a esperimenti azzardati e impietosi. Alla Salpêtrière si entra e non si esce. In realtà buona parte delle cosiddette alienate sono donne scomode, rifiutate, che le loro famiglie abbandonano in ospedale per sbarazzarsene. Alla Salpêtrière si incontrano: Louise, adolescente figlia del popolo, finita lì in seguito a terribili vicissitudini che hanno sconvolto la sua giovane vita; Eugénie, signorina di buona famiglia allontanata dai suoi perché troppo bizzarra e anticonformista; Geneviève, la capoinfermiera rigida e severa, convinta della superiorità della scienza su tutto. E poi c'è Thérèse, la decana delle internate, molto più saggia che pazza, una specie di madre per le più giovani. Benché molto diverse, tutte hanno chiara una cosa: la loro sorte è stata decisa dagli uomini, dallo strapotere che gli uomini hanno sulle donne. A sconvolgere e trasformare la loro vita sarà il "ballo delle pazze", ossia il ballo mascherato che si tiene ogni anno alla Salpêtrière e a cui viene invitata la crème di Parigi. In quell'occasione, mascherarsi farà cadere le maschere...


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La Salpêtrière oggi è un centro ospedaliero di Parigi, ma nasce come una fabbrica di polvere da sparo, e deve il suo nome al "salpêtre" (salnitro), uno dei principali componenti della polvere nera. Da luogo in cui erano detenuti barboni, vagabondi, ladri e truffatori di Parigi, nel corso del tempo, diventa un manicomio femminile in cui opererà il famoso neurologo Charcot, noto per i suoi studi sull'isteria e sull'ipnosi.

In questo scenario storico Victoria Mas ambienta il suo esordio letterario, e qui si muovono le storie di Louise, Geneviève, Eugénie e Thérèse. 
Ognuna, per un motivo diverso, è presente in questo manicomio, ma tutte accomunate dalla stessa condizione e considerazione della donna tipica dalla fine del 1800: ultime, reiette, facilmente collocabili in strutture del genere anche solo perché di ostacolo al "sereno" svolgimento della vita di uomini convinti della loro superiorità


"Non sono più mogli, madri o adolescenti, non sono donne da guardare o da prendere in considerazione, non saranno mai donne da desiderare o a cui voler bene: sono malate. Pazze. Fallite."


Internate. Così chiamano le donne ricoverate in questo manicomio. Louise e Eugénie lo sono perché la prima è stata sconvolta da episodi traumatici della sua infanzia; l'altra, perché non accondiscendente verso i progetti paterni. Thérèse, l'anziana, da un'esigenza psichica arriva a sperare di restare internata per non ritornare a una vita che non le appartiene più. A sorvegliare su loro c'è Geneviève, dedita al suo lavoro di infermiera, votata alla scienza come verità assoluta. La sua morsa, e quella di tutto il personale sanitario si allenta in un particolare momento: il ballo di mezza quaresima. É l'occasione in cui le porte della Salpêtrière si aprono alla società "normale" per vedere le pazze, vestite in maschera, ignare di essere state ridotte ad animali da circo. 


"Le donne della Salpêtrière non erano più appestate di cui si cercava di nascondere l'esistenza, ma soggetti di svago che vengono esibiti in piena luce e senza rimorsi. "


Questo esordio della Mas non rappresenta un semplice romanzo ambientato alla fine del XIX secolo.  

É un romanzo sulla condizione femminile dell'epoca e, ahimè quanta attualità c'è ancora nelle parole e vicende delle protagoniste! É un romanzo sulla dicotomia fede/scienza e, su, come spesso, tra queste ci siano punti di contatto.

É un romanzo che ha una valenza psicologica evidente e toccante. 

La scrittura, direi sensoriale, dell'autrice provoca un turbamento interiore che va dalla rabbia alla paura, dall'ansia alla tenerezza. Sentimenti che si alternano in un susseguirsi vorticoso, come vestiti su corpi di donne in preda ad attacchi di isteria, per fare spazio poi, ad una quiete apparente come quella in cui cadono le internate soggette all'ipnosi.

Una lettura breve, ma intensa. 

"...quelli che hanno giudicato me... Il loro giudizio risiede nelle proprie convinzioni. La fede incrollabile in un'idea porta al pregiudizio... non bisogna avere convinzioni, bisogna dubitare di tutto, delle cose e di se stessi. Dubitare."

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